Il boscaiolo Runar, mentre era a caccia, si addentrò troppo nella boscaglia per inseguire dei cervi; il sole stava calando dietro la collina e ben presto si fece buio. Nel meraviglioso bosco sembrava primavera, l’aria era piena di uccelli che cantavano dolcemente, le farfalle colorate svolazzavano nel cielo e i fiori luminosi brillavano nel crepuscolo. Runar aveva deviato dal suo percorso e correva aggrappandosi ai rami di arbusti e alberi, per cercare di affrettarsi a tornare a casa. Egli non voleva passare la notte nel bosco. Ma ben presto la luna, bianca e rotonda, enorme come una ciotola d’argento illuminò d’una luce fantastica tutto il bosco. Runar pensò che il bosco fosse magico, davvero, sembrava incantato, misterioso, pieno di segreti.
All'improvviso Runar sentì, nel silenzio, il suono di campana che emanava una dolce melodia, smise di correre, si fermò, rimase ad ascoltare, fece qualche passo in direzione del suono che proveniva da un cespuglio, spostò i rami degli arbusti e vide una piccola radura verde, coperta di muschio. Nel prato vi era una grossa pietra e lì vicino vide qualcuno con un berretto inclinato, accanto ad una pentola d’oro che brillava in modo luminoso: erano due nani, con le sopracciglia folte e la barba grigia, che tenevano aperta la pentola con le monete d’oro.
«Che meraviglia!»,
pensò Runar, mentre, incredulo, continuava ad osservare i nani; egli da bambino aveva sentito molte storie degli elfi del bosco, dei gnomi e dei malvagi troll; la sua vecchia nonna gli aveva raccontato, spesso, certe storie mentre, la sera, erano seduti davanti al camino. Non potendo resistere, Runar, chiese:
«Per chi è quell’oro?».
I nani si spaventarono e immediatamente sbiadirono la lucentezza dell’oro, facendolo apparire come un mucchio di monete sfuse. Un nano che era sul terreno, sbatte il coperchio della pentola e fu inghiottito dalla terra con tutto quello che aveva attorno. Il secondo nano prese delle lucciole, luminose come lampadine, ed ispezionò il terreno; una moneta era rotolata a terra. Runar, rapidamente, raccolse la moneta, mentre lo gnomo, arrabbiato, gli urlò:
«Non è per te l’oro!»
«E allora per chi è quella moneta?»
«Per l’erede!»
«Perché dovete lasciarla all’erede?»
«E’ per la persona che la troverà, mentre gli altri non la vedranno.»
Runar non capiva e chiese nuovamente
«Chi è l’erede?»
«Il marito di tua figlia.»
«Lei è ancora piccola.»
«I piccoli crescono.»
«Dimmi almeno il nome dello sposo!» chiese di nuovo, Runar.
Il nano scosse la testa e disse:
«Ben presto sarai ricco e nobile, e avrai tutto quello che vorrai. Sarai ricco, ma essere felice o no, dipenderà da te. È necessario che ti ricordi che i demoni sono vicini e che il lupo è sempre in agguato nel bosco, e devi avere paura delle arpie che strappano il cuore dal petto per mangiarlo.».
Runar voleva chiedere allo gnomo il significato delle sue parole, ma lui scomparve. Al mattino, Runar, svegliatosi nel suo letto, si ricordò, immediatamente, dell’incontro avuto nella notte.
«Che sogno interessante!», pensò, ma sotto il cuscino trovò la stessa moneta della pentola dei nani.
No, non era stato solo un sogno, gli gnomi, come le monete, erano reali. Runar, allora, cominciò a guardare la moneta, che era di oro puro con l’immagine della Runa Fehu; pensò che la moneta poteva essere un buono amuleto, si procurò un nastro di pelle per legarla e l’appese al collo. Passava il tempo, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, ma Runar, non riusciva a riposare, era impaziente di scoprire quale tesoro poteva ottenere, fino a che, un giorno, gettò dalla finestra la preziosa moneta e attese. E incredibilmente, fuori dalla finestra, sentì un gran rumore nella strada, la gente che camminava con le monete d’oro sotto i piedi, ma nessuno li vedeva. Poi, da chissà dove, all’improvviso, uscì un ragazzo cencioso, afferrò le monete e corse via. Runar lo raggiunse e gli chiese:
«Come hai saputo delle monete?».
Il ragazzo rispose:
«Dallo gnomo, lui me lo disse, nei miei sogni; sono venuto e mi ha ordinato di prendere le monete.»
«Quindi, in realtà, tu sei l’erede».
Runar ci pensò e lo portò a casa sua; il ragazzo disse che proveniva da una famiglia modesta, suo padre aveva un dono raro, attraverso dei bastoni a forma di forchette, poteva indovinare l’acqua che scorreva nel sottosuolo, dove i minerali erano nascosti. Presto, però, suo padre si era ammalato ed aveva cominciato a perdere la vista, ma prima della sua morte, gli raccontava sempre di un tesoro. Quando il padre morì, loro rimasero molto poveri, la madre lavava la biancheria degli uomini e il ragazzo lavorava come apprendista fabbro ferraio. Runar ascoltò ed ebbe un tuffo al cuore e pensò:
«È proprio lo sposo di mia figlia!».
Runar, però, non voleva un fabbro, ma decise, comunque, di prenderlo in casa per fargli imparare l’arte del mercante. Il ragazzo, molto intelligente, superò Runar nella pratica del commercio e nelle scienze, fino a divenire il suo primo “assistente”. Passarono gli anni e la figlia di Runar divenne una bellissima donna. Runar pensò, “Facciamo un matrimonio!?”. Così deciso, il giorno dopo, prese il giovane genero e lo portò nel bosco, nel prato dei nani. Arrivati di sera, si sedettero alle radici di una quercia e rimasero in attesa. Il buio era pauroso, senza alcun fruscio, ma, ben presto, arrivò l’alba e li trovò congelati. Tutto era in silenzio e nessuno si fece vivo. Runar pensò che i nani li avevano truffati e, quindi, ritornarono a casa.
Da quel giorno, Runar cambiò carattere, divenne arrabbiato e litigioso, continuava a sognare un enorme demone a forma di pesce che lo voleva inghiottire; non si rendeva conto che, con i suoi sogni, continuava a peggiorare, vedeva e si lamentava come un lupo nero, allora fu cacciato via di casa da suo genero. La figlia disse al padre:
«Io vado con lui, buono o cattivo, povero o ricco che sia, lui è il mio amato marito; ho promesso di condividere con lui gioia e dolore, e manterrò la mia parola».
Runar rimase con tutta la sua ricchezza da solo, mentre sua figlia con il marito, che tornò di nuovo a fare il fabbro, si stabilì in una vecchia casa, alla periferia della città. Una volta mentre era in piedi, sulla soglia della sua fucina, improvvisamente, si avvicinò un carro, con un vecchio molto piccolo, con una lunga barba, seduto sulla panca di legno, che gli disse:
«Maestro, dimostrami le tue capacità, aprimi il coperchio della pentola, perché la chiave è andata persa, se l’aprirai non te ne pentirai, io, intanto, andrò in città».
Si sedette sul carro e si allontanò. Il fabbro appena prese in mano la pentola con il suo coperchio, si aprì e vide il contenuto, era piena di monete d’oro, alcune di loro nel guardarle brillavano molto. Il fabbro chiuse il coperchio e cominciò ad aspettare il vecchio. Passò un giorno, e poi un altro e un altro ancora, passò una settimana, un mese; il fabbro allora decise di cercare il vecchio nei villaggi vicini, ma tutto sembrava vano; passò tutto il giorno in giro, chiedendo alla gente, ma non ebbe nessuna notizia, poi, verso sera, decise di tornare a casa. Seguendo il sentiero lungo i lati del bosco, giunse ad un bivio, vide nel prato due luci tremolanti, ed andò a guardare più da vicino: vi erano due nani, simili al vecchio che aveva portato la pentola con l’oro, gli sorrisero e gli dissero:
«Noi sappiamo perché sei venuto e chi cerchi. Una volta, da questi parti, regnava un re avido ed ingiusto, che fino alla sua vecchiaia raccoglieva immensi tesori; lui non aveva figli da poter lasciare la sua ricchezza, così ordinò che i suoi forzieri d’oro fossero sepolti in vari luoghi. Per fare in modo che nessuno sapesse dove fossero nascosti i tesori, fece tagliare le teste dei suoi servi, così al popolo fu nascosto il tesoro, ma non fu nascosto a noi nani. Il popolo dei nani fece un accordo: “Se un uomo è buono ed è capace di rinunciare al tesoro, glielo daremo, se, invece, lo troverà una persona cattiva gli faremo venire un mal di testa, gli riempiremo gli occhi di nebbia e lo lasceremo senza niente". Tuo padre era un uomo buono, conosceva molti dei nostri segreti; una volta, a noi, successe un guaio: la nostra sorgente era seccata. Tuo padre prese un bastone a forma di forchetta e trovò l’acqua a beneficio di noi nani della terra; ed è per questo che abbiamo aperto questo posto, dove ci sediamo, e regaliamo le pentole d’oro. Ma lui non poteva usare il tesoro, così noi ci riproponemmo di darlo a suo figlio, quando fosse abbastanza grande. Ma tutto questo non lo avresti potuto ereditare se non fosse stato per tuo suocero, Runar, egli avrebbe trasformato l’oro in male. Ora vai, prendi l’oro e usalo a tuo vantaggio, e per la gioia del popolo».
«Grazie!» disse il fabbro.
«Che questa situazione ti resti d’esperienza, in modo che tu possa aiutare qualcuno al momento opportuno».
Runar, nel tempo, apprese che il fabbro, suo genero, si era arricchito, all’inizio provò invidia, rodendosi il cuore, come un’arpia, con una feroce gelosia, mentre l’avidità lo assaliva, come il demone a forma di pesce che cercava di inghiottirlo, mentre la sua rabbia era simile al lupo nero che non lo lasciava dormire. Runar soffrì per lungo tempo, fino a quando non capì che la vera ricchezza non era l’oro, né gli abiti costosi, e che non si poteva essere felici con il denaro, si rese conto che una persona è felice solamente con l’amore, il rispetto, l’onore e con un cuore puro. Runar trovò la forza in se stesso per superare i propri difetti, riuscì a far pace con il genero ed insieme fecero molte cose buone per la gente.
Vissero una lunga vita, lasciando un buon ricordo, in modo che la gente raccontasse di loro a molte altre persone.
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