mercoledì 7 ottobre 2015

Le fatiche di Ercole (I° parte)

Tutti (o quasi) conoscono il mito delle 12 fatiche di Ercole (o Eracle), ma appunto viene solitamente visto solo come un mito, un racconto di gesta eroiche di un personaggio fantastico. Invero, può essere data una lettura ben diversa di questo mito che, come spesso accade, sembra essere invece un insegnamento che ci giunge dagli Antichi. Primo avviso di ciò potrebbe essere anche solo il numero delle fatiche stesse: 12. Questo è un numero dalla valenza particolare, basti pensare al ciclo della natura che in 4 stagioni di 3 mesi si compie in 12 mesi, 1 anno. Già così compaiono tutti gli elementi, i numeri col loro significato. 12 come simbolo di completezza, di armonia che ricongiunge all’unità, uno stato che tuttavia giunge al compimento di un percorso, infatti viene considerato il numero che rappresenta l’iniziato e, più precisamente, il superamento delle prove che deve compiere. Ecco dunque che non a caso le fatiche dell’eroe sono 12, ma non un eroe comune, un semi-dio, per metà uomo e per metà dio, che affronta sorti avverse, divinità ostili e uomini spesso altrettanto contrari al superamento delle sue prove.
Quali sono le 12 fatiche?
  • uccidere l'invulnerabile leone di Nemea e portare la sua pelle come trofeo;
  • uccidere l'immortale Idra di Lerna;
  • catturare la cerva di Cerinea;
  • catturare il cinghiale di Erimanto;
  • disperdere gli uccelli del lago Stinfalo;
  • ripulire in un giorno le stalle di Augia;
  • catturare il toro di Creta;
  • rubare le cavalle di Diomede;
  • impossessarsi della cintura di Ippolita, regina delle Amazzoni;
  • rubare i buoi di Gerione;
  • rubare i pomi d'oro del giardino delle Esperidi;
  • portare vivo Cerbero, il cane a tre teste guardiano degli Inferi, a Micene.

UCCIDERE IL LEONE DI NEMEA

Il leone Nemeo fu inviato a Nemea da Era per distruggere Ercole. Nacque vicino a Nemea, nell'Argolide e si insediò in una grotta con due uscite. La sua pelle non poteva essere trapassata, né bucata o scalfita da nessun tipo di arma, era indistruttibile; zanne ed artigli erano dure quanto il metallo. Il leone era dunque una animale invulnerabile. L'unico punto debole era la bocca. Era un vero flagello per il popolo di Nemea, poiché attaccava uomini e greggi, facendo razzie. Per terrore dei suoi ruggiti, la gente aveva smesso di lavorare e la popolazione veniva divorata dal felino.
Giunto a Nemea, messosi in caccia del leone, Ercole lo cercò a lungo, ma ovunque trovava solo campi disseminati di cadaveri degli uomini da questi uccisi. Finché un tremendo ruggito scosse la foresta. Il leone aveva trovato Ercole e si preparava a sbranarlo. Ercole prese in mano l'arco e lo colpì con tutte le sue frecce, ma senza riportare alcun successo. Il leone lo attaccò, menando fendenti con i suoi artigli e distrusse l'armatura dell'eroe che fu costretto a battersi nudo. Il leone ferì Ercole al petto con una zampata. Ercole usò la spada, che però si piegò. Allora afferrò la clava e vibrò un colpo così forte che la clava si spezzò in mille pezzi e in mano gli rimase un inutile moncone, ma il leone non era nemmeno ammaccato, a cui però iniziarono a ronzare le orecchi. Tornò quindi dentro la sua caverna e Ercole lo inseguì, ingaggiando un terribile duello corpo a corpo, durante il quale il leone strappò un dito a Ercole, ma alla fine l'eroe afferrò il leone per la testa e la folta criniera e il leone si accasciò a terra sconfitto, strangolato. Ercole se lo caricò in spalla in segno di trionfo e lo portò a Micene, dove terrorizzò Euristeo, che gli ordinò di riportarlo indietro.

Il leone diviene simbolo di una forza brutale quanto ancestrale, legata alla natura nella sua accezione però distruttiva, una forza che è parte anche dell’uomo e l’eroe, il Guerriero, deve affrontare. Tuttavia è uno duello che non può vincere con le armi, ma contrapponendovi la medesima forza, quindi recuperandola dal proprio profondo:  mentre lo scontro con le armi avviene all’esterno, lo scontro corpo a corpo avviene dentro la grotta, una grotta con 2 uscite diverse. Non è un mistero che la grotta viene utilizzata da tempi antichi come metafora dell’inconscio dell’uomo. Questo scontro assume quindi l’immagine dell’uomo che per risvegliarsi deve affrontare la sua parte oscura, farla propria per poi poterla dominare e solo così vincere la battaglia con se stesso, per la ri-scoperta di sé.

UCCIDERE L’IDRA DI LERNA

Il mito narra che l'Idra, che viveva nei pressi di Lerna, fu uccisa da Ercole durante la seconda delle sue fatiche. Trovò l'orrenda bestia mentre digeriva il suo pasto nella caverna e le tagliò tutte le teste. Per non cadere preda del suo fiato tremendo Ercole trattenne il respiro. Scoprì però che dal moncherino di ogni testa tagliata ne spuntavano istantaneamente altre due. Ebbe quindi un'illuminazione, e chiese aiuto al nipote Iolao: mentre Ercole tagliava le teste, Iolao dava fuoco al sangue della ferita, cicatrizzandola in modo che le teste non potessero ricrescere. L'ultima testa tuttavia era immortale. Allora seppellì la testa e il corpo sotto un masso enorme. Ercole bagnò la punta delle frecce nel sangue dell'idra, altamente velenoso, per rendere le ferite inflitte da esse inguaribili.

Come si nota subito, ci troviamo ancora in una grotta, qui il Guerriero deve affrontare la sua nuova prova. Nella prima è stato chiamato a recuperare la sua parte più istintuale, legata alla forza, qui invece deve affrontare un serpente marino con 9 teste e deve far ricorso all’intuizione, un processo mentale dell’intelletto che con lucidità trova la soluzione al problema, ma una soluzione che però getta le basi sulle conoscenze fondamentali acquisite. Tuttavia, l’eroe non può compiere l’impresa da solo, ma deve avvalersi di un aiuto che gli permette di giungere al fulcro, all’essenza stessa della prova. 8 teste richiedono ad Ercole di collaborare con Iolao, ma l’ultima la deve affrontare da solo, comprendendo la necessità di una nuova soluzione. Il serpente è simbolo di conoscenza, in questo caso legato all’Acqua, quindi alla sfera emozionale, emotiva dell’uomo, che si trova a doverlo fronteggiare, ma senza l’ausilio del Fuoco ogni volta che pensa di aver superato una difficolta, questa si ripresenta con ancor più forza (ogni testa tagliata ne genera poi due). Il Fuoco è simbolo di un’Energia viva e creativa, che dona luce, quindi porta verso la Conoscenza, la saggezza, ed è l’elemento che porta all’intuizione e attraverso il quale si cicatrizza la ferita, impedendo il ricrescere delle teste. Ciò nonostante ve ne è una che è immortale, che non permette al Guerriero di uccidere l’Idra, almeno non con lama e Fuoco. No, l’eroe seppellisce l’Idra e la sua ultima testa sotto un grande masso, una pietra, quindi uno strumento fornito dalla Terra, che riporta l’Idra a far parte della Terra stessa. Sia il Fuoco che la Terra hanno la proprietà di purificare, seppur in modi differenti. Il Guerriero trae un altro vantaggio dall’uccisione dell’Idra, il suo sangue velenoso in cui intinge le proprie frecce. L’astuzia, la comprensione che ciò che può arrecar danno può essere utilizzato in caso di bisogno.

Le prime due fatiche narrano dell’uccisione di “mostri”, di una discesa nella caverna, di un lavoro di distruzione degli schemi preesistenti affrontando le proprie paure, guardando in faccia ciò che si è per evolvere e proseguire nel percorso. Si è quindi consapevolizzato di avere della peculiarità, delle caratteristiche, delle doti innate di cui ora si è padroni.

CATTURARE LA CERVA DI CERINEA

Euristeo, stupito per l'eccezionale valore di Ercole, decise di affidargli una terza impresa. Nei pressi della regione di Cerinea viveva una splendida cerva, sacra ad Artemide, dalle corna d'oro e dagli zoccoli di bronzo (o argento, secondo altre versioni) che fuggiva senza mai fermarsi, incantando chi la inseguiva, trascinandolo così in un paese dal quale non avrebbe più fatto ritorno. Ercole non poteva assolutamente ucciderla, poiché essa era una cerva sacra, e quindi l'eroe si limitò a inseguirla. La frenetica corsa durò circa un anno, sconfitto in ogni tentativo di raggiungerla, non gli rimase altra scelta che ferire leggermente l'agile cerva con un dardo, e caricarsela sulle spalle per riportarla in patria. Lungo la strada del ritorno incappò in Artemide, infuriata con lui per aver ferito una bestia a lei sacra: ma l'eroe riuscì a placare le sue ire, ed ottenne da lei il permesso di portare la cerva ad Euristeo. Dopodiché al leggiadro animale venne permesso di tornare a correre libero nelle foreste.

Il Guerriero esce dalla caverna in cui era disceso e si inoltra in quello che potremmo definire il femmineo sacro, nel lato femminile dell’Energia, simboleggiato dalla cerva, che fugge e incanta. Persino Ercole non riesce a raggiungerla, per farlo deve ferirla leggermente, deve bloccare la sua corsa per riuscire ad addentrarsi in quel mondo e farlo proprio, comprenderlo senza però possederlo, trattenerlo a sé più del dovuto. Infatti alla fine la cerva viene lasciata libera perché solo così può mantenere il suo potere, quale rappresentante di spiritualità, abbondanza, fertilità, bellezza e amore, come la dea Artemide, a cui è sacra, che infatti incarna la Luna Crescente, l’aspetto femminile intuitivo, sensibile e ricettivo volto al divenire. L’ira della dea, la vergine cacciatrice, per il sacrilegio perpetuato nella violazione della sacralità del femminile viene tuttavia placata, nel momento in cui questo compare come un sacrificio per l’ottenimento di qualcosa di importante e non privo di rispetto.

CATTURARE IL CINGHIALE DI ERIMANTO

Nella Mitologia greca, il Cinghiale di Erimanto era un poderoso e ferocissimo cinghiale che viveva sul monte Erimànto e che terrorizzava tutta la regione: Ercole lo catturò vivo e lo portò ad Euristeo che per la paura si nascose in una botte.

Stavolta il Guerriero deve affrontare il lato maschile dell’Energia, quello solare, più feroce, aggressivo, dalle potenzialità distruttive. Il cinghiale non fugge, attacca, quindi non è più una forma passiva, bensì attiva, rappresenta l’azione che deve essere compresa e padroneggiata. L’eroe dimostra il suo coraggio nell’affrontarlo per far suo tale potere e poterlo così canalizzare per uno scopo. Di nuovo però l’animale non viene ucciso, ma solo catturato e questo è estremamente significativo, poiché rappresenta come debba essere un’esperienza che non va trattenuta, ma compresa, assimilata e fatta propria senza limitarla, ma lasciando che possa permanere nel tempo secondo il suo naturale corso.

DISPERDERE GLI UCCELLI DEL LAGO STINFALO

Nella mitologia greca gli uccelli del lago Stinfalo erano uccelli mostruosi, con penne, becco ed artigli di bronzo. Essi si nutrivano di carne umana e catturavano le loro vittime trafiggendole con le loro penne di bronzo che fungevano da dardi. Avevano inoltre un finissimo senso dell'udito cosa che Eracle sfruttò per sconfiggerli. Secondo il mito, Ercole fece alzare in volo gli uccelli disturbandoli con dei potentissimi sonagli di bronzo e uccidendone una buona parte con delle frecce avvelenate con il sangue dell'Idra di Lerna. Gli uccelli sopravvissuti volarono via per sempre.

Uccelli che vivono sul lago, elementi d’Aria che trovano la loro sussistenza nell’Acqua, nell’emotivo del Guerriero, che però stavolta ha un approccio differente, una consapevolezza che gli ha fornito mezzi diversi per affrontare questi problemi che affliggono gli uomini. Di nuovo ricorre all’astuzia, all’ingegno dell’intelletto che si basa sulle conoscenze, sulle radici su cui ha costruito la sua persona, sfruttando il punto di forza del problema a proprio vantaggio, rendendolo il punto debole dell’avversario, per poi utilizzare le frecce intinte nel sangue dell’Idra. Ha quindi modo di utilizzare i mezzi acquisiti nel confronto con se stesso avvenuto nella caverna, nell’inconscio, esprimendo la sua crescita, la sua evoluzione. Da notare che non uccide tutti gli uccelli, non era questo il suo compito, lui doveva scacciarli da quel lago, da quel preciso punto/momento e così ha fatto, uccidendo quelli necessari a far da monito agli altri, affinché se ne andassero senza più far ritorno. Equilibrio tra il Fare e il Non Fare che deriva dalla chiarezza d’intenti.

RIPULIRE IN UN GIORNO LE STALLE DI AUGIA

Augia aveva ricevuto dal padre Elio moltissimo bestiame. Grazie all'origine divina gli armenti erano immuni dalle malattie, pertanto crescevano indefinitamente. Augia non puliva mai le stalle e le scuderie, tanto che il letame che continuava ad accumularsi creava seri problemi nei dintorni; allo stesso tempo il cielo era oscurato dagli sciami di mosche attirate dalla sporcizia. La sesta impresa delle fatiche di Ercole consistette nella pulizia delle stalle in un solo giorno, su ordine di Euristeo. Ercole propose al re Augia che avrebbe ripulito lo sterco dalle sue enormi stalle prima del calar del sole. In cambio gli chiese un decimo di tutto il suo bestiame. Il re incredulo accettò la scommessa e i due giurarono sul loro accordo. Allora Ercole aprì due brecce nei muri delle stalle, e deviò il corso dei vicini fiumi Alfeo e Peneo e le acque impetuose invasero le enormi stalle e i cortili spazzando via lo sterco fino alle valli del pascolo. Così Ercole compì la sua sesta Fatica ripulendo l'intera terra dell'Elide senza nemmeno sporcarsi. Allora Ercole chiese al re Augia la ricompensa promessa, ma questi rifiutò sostenendo di essere stato da lui ingannato: non Ercole bensì i fiumi avevano ripulito dallo sterco il suo regno. Ercole chiese che la controversia fosse sottoposta a giudizio che però fu a suo svantaggio e venne scacciato dall'Elide. Infine Euristeo non considerò valida la fatica poiché Ercole ne avrebbe ricevuto un compenso. Secondo un'altra versione, la lite che seguì alla mancata ricompensa per il lavoro svolto portò alla guerra: Ercole vinse e Augia fu ucciso.


L’eroe è chiamato a fare pulizia di una sporcizia immane che però non gli appartiene, è di altri e per questo prende accordi affinché vi sia uno scambio equo. Tuttavia, compiuta l’impresa con metodo, con cognizione di causa, chi ha tratto giovamento da ciò non ne riconosce il merito, non vuole quindi compartecipare nello scambio pattuito. Il Guerriero si è sporcato per ripulire se stesso, la propria sporcizia interiore, il superfluo, ricco dell’esperienza ha cercato di portare un altro alla sua condizione, senza lasciarsi intaccare dalla sporcizia altrui e questo non è stato tollerato. Il rimanere pulito consapevoli che se si fosse fatti da soli ci si sarebbe oltremodo sporcati, aizza l’Ego. Così l’eroe si trova scacciato, non apprezzato per l’aiuto dato, avendo fatto il lavoro di altri, ma non avendo realmente fornito mezzi a questi per mantenere tale risultato, non avendo portato l’altro a fare il proprio lavoro per se stesso.

Sigríðr Úlfhildr Bálsdóttir

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